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Pablo Trincia, il re dei podcast: “Vi svelo il mio segreto: accogliere il cambiamento”

Pablo Trincia, il re dei podcast: “Vi svelo il mio segreto: accogliere il cambiamento”

“Qual è il valore aggiunto dei suoi podcast?” “Che li fa il King of podcast!”, risponde Pablo Trincia, re della narrazione audio sulle piattaforme digitali, ospite a un evento organizzato da Zeta Service al Magma dedicato al tema del cambiamento. Nato a Lipsia, all’epoca in Germania Est, papà romano e madre iraniana che gli hanno dato il nome del poeta cileno Pablo Neruda, amico del nonno materno, da bambino Trincia si trasferisce con la famiglia a Milano.

Che ricordi ha del suo arrivo?

“Avevo quattro anni, mio padre aveva trovato lavoro a Milano e siamo andati a vivere nella zona del Leoncavallo. Il ricordo che ho è di una città bruttina, grigia”.

È cambiata?

“Tantissimo. Adesso la trovo una gran bella città dove vivo molto volentieri e cui sono legatissimo”.

È vero che parla l’hindi, lo swahili e il wolof oltre alle altre 20 lingue più note?

“Sì, è vero. E mi ricordo che all’inizio degli anni Novanta, quando crollò l’Unione Sovietica, mio padre mi disse che bisognava andare là alla scoperta di nuovi mercati. Mi mise a studiare il russo insieme a lui dal nulla”.

Quanto è importante l’internazionalizzazione?

“Io ho studiato all’estero e mi sono reso conto che oggi l’inglese è ancora un grandissimo limite; magari non per le nuove generazioni che. Io trovo sia una cosa molto bella aprirsi al mondo. Oggi veramente Amsterdam è più vicina di Reggio Calabria e, quindi, perché no?”

Come suo padre?

“Veniva da una famiglia della provincia di Roma, laureato, grande carriera. Era sempre al telefono, parlava un po’ in inglese, un po’ in russo, un po’ in tedesco, con grandissima facilità. Andava nei posti, apriva porte, trovava contatti, parlava con la gente, vedeva opportunità anche in luoghi nuovi”.

Cos’è per lei il cambiamento?

“Quando mi sono affacciato al mondo del lavoro avevo sempre pensato di lavorare nelle organizzazioni governative, mai avrei pensato di fare prima il giornalista e poi il narratore. Da quel momento il cambiamento è sempre diventato per me non solo qualcosa che vivo, ma che guardo con un’ottica positiva. Anche in questo momento sono in una fase di grande cambiamento professionale, da narratore a imprenditore. Quello che ho costruito fino ad oggi, lo metto da parte per ricominciare. Il cambiamento fa parte della mia vita”.

Anche giornalismo sta cambiando.

“Nascono nuovi strumenti ogni giorno, nuove generazioni che hanno una mentalità completamente diversa e esigenze di linguaggi diversi. Credo che il giornalismo stia attraversando un momento complesso, in cui servono nuovi contenuti, nuovi investimenti e anche il coraggio di esplorare linguaggi diversi. Io mi sono costruito un mio mondo, mi è costato tantissimo uscire dalla mia comfort zone”.

Ma i ragazzi di oggi vogliono uscire dalla loro comfort zone?

“Per ora poco. Non hanno la mentalità che abbiamo noi nati negli anni ‘70-’80, ancora figli di quel “Dai ce la puoi fare”. Forse loro si accontentano”.

Lei è passato dal giornalismo alla televisione, come inviato a “Le Iene”, a “Chi l’ha visto?” e autore tv. Cosa cambia?

“Sognavo di scrivere sulla carta e l’ho fatto, ma le assunzioni erano poche, pagavano due lire... Quel mondo era una porta chiusa e decisi di affrontare il cambiamento provando con la tv. Ho dovuto imparare tutto da capo: per la televisione si scrive in maniera diversa, il linguaggio cambia, mi sono dovuto re-inventare da zero. In 5 minuti mi sono trovato in abito e cravatta senza mai aver parlato di contratto, di soldi, e mi hanno mandato fuori per un servizio. Ero in panico, mi dicevo: “Adesso cosa devo fare?” Dopo anni posso dire: “Quella cosa l’ho fatta, quel cambiamento l’ho affrontato in maniera molto positiva””.

Oggi è autore, giornalista e podcaster.

“Sono passato dalla tv ai podcast quando 10 anni fa sono scoppiati in America, e ho capito che quello era il nuovo mondo, che l’audio sulle piattaforme digitali poteva essere il mio futuro. Carta stampata e tv erano un mondo vecchio che mi stava stretto”.

Cos’è la narrazione?

“È un atto di grande trasparenza e di onestà. Quando io racconto una storia, delle serie a puntate, faccio un lavoro quasi scientifico. Studio la storia, i protagonisti, cerco documenti, testimoni, audio, video, che in quel momento mi permettono di ricostruire quella storia, di raccontarla, di offrirla agli ascoltatori, poi agli spettatori. Bisogna sempre stare un passo indietro e ricordarsi di avere un distacco rispetto ai protagonisti. La narrazione è molto faticosa, è qualcosa che ti consuma le giornate, le notti”.

Una grande responsabilità?

“Non è sempre facile. Bisogna essere imparziali. Togliere gli aggettivi, il giudizio, i commenti, stare sui fatti mettendoli in fila in modo che si raccontino da soli”.

Il Giorno

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